Tokyo è oggi la città più grande del mondo. La sua immagine, nonostante l'esteso processo di globalizzazione, è molto diversa da ciò che siamo abituati a incontrare in Europa, in America o anche in altri paesi dell'Asia. Lo choc visivo e culturale è forte: appare vastissima, incontrollabile, indecifrabile, incomunicabile, caotica.
Tokyo è una delle poche città globali e, con Londra, New York e forse qualche altra, fa oggi parte di un vero e proprio sistema transnazionale. È una straordinaria capitale dell'architettura contemporanea e, al tempo stesso, costituisce un eccezionale fenomeno urbano al quale non è possibile non guardare con grande attenzione. Ancora più importante è che, dietro un dibattito apparentemente astratto, essa ci pone un problema sostanziale: si tratta dell'ultima degenerazione della città occidentale o invece di qualcosa di completamente differente, con una propria radicata diversità storica e una precisa autonomia culturale che la pur forte e recente ibridazione con l'Occidente non ha sostanzialmente modificato? E poi, c'interessa per questi motivi o non piuttosto per il suo essere/apparire proprio come la città che, non facendo parte della tradizione occidentale, più di ogni altra ne ha raccolto la sfida millenaria e si è proiettata in avanti, con le sue rapidissime trasformazioni, con l'energia, l'incoscienza e l'aggressività possibili solo a chi di tale tradizione non ha mai fatto parte, al punto da sostanziare una vera e propria nuova forma simbolica nella fenomenologia urbana del XXI secolo?