Non è semplice sottrarsi al fascino della pittura di Simone Martini. La raffinatezza suprema delle sue figure stagliate sul fondo d'oro, il gusto prezioso per il colore e i materiali rari, l'eleganza dei gesti e la componente gotica, transalpina, tangibile nel senso acuto e falcato della linea, ne hanno fatto col tempo l'ideale antagonista del genio dominatore dell'arte italiana di primo Trecento, l'ideale contraltare di Giotto e della sua pittura: Siena contro Firenze, un'arte aristocratica, eletta, sensibile contro il nuovo linguaggio giottesco, concreto, fisico, "borghese".
Gli studi degli ultimi trent'anni, in realtà, hanno mostrato come questa facile contrapposizione nasconda invece legami profondi fra i due artisti immortalati dal Petrarca come i "novi pictores egregios", e hanno rivalutato il cantiere di Assisi come luogo d'incontro del pittore senese - "guidato" dalla mediazione e dal precedente del suocero Memmo di Filippuccio - con l'arte di Giotto e dei suoi più stretti collaboratori. Scrivere oggi una monografia su Simone Martini, allora, significa uscire definitivamente dagli schematismi e dalle false opposizioni e saper riconoscere la grandezza di questo artista proprio nell'ampiezza del suo panorama culturale, nella sua conoscenza delle esperienze di Giotto, di Duccio, di Memmo di Filippuccio, del Gotico d'oltralpe - studiato nelle oreficerie, gli smalti, i codici miniati e negli altri prodotti circolanti dell'arte suntuaria -, e però nella sua capacità di scegliere e di forgiare un linguaggio del tutto originale e nuovo.