Negli ultimi trent'anni circa l'archeologia femminista, o meglio "al femminile", ha cercato di gettare luce sul ruolo della donna nelle società del passato, e di rimuovere taluni pregiudizi assai radicati. Si è volta l'attenzione in primo luogo all'ambito quotidiano, la vita familiare, il matrimonio, la maternità, l'organizzazione degli aspetti produttivi più intrinsecamente domestici.
Un filone di ricerca assai intrigante è poi quello relativo all'individuazione del potere femminile, che spesso è ricercato solo dietro le quinte, quale "motore segreto" dell'azione maschile, mentre è forse più interessante studiare come le certo rare emergenze di potere delle donne siano state poi traviate e trasformate dalla tradizione storica e letteraria, per consuetudine detenuta dagli uomini: così le donne diventate regine nelle società antiche sono quasi tutte usurpatrici, vendicative e dissolute, sanguinarie e destinate a una fine tragica, come giusta punizione dei loro efferati delitti. Va da sé che, da questo punto di vista, il delitto più imperdonabile era proprio la presa del potere, da cui scaturivano tutte le altre nefaste conseguenze.
L'analisi del ruolo femminile appare quanto mai difficile per il mondo vicino-orientale antico, per la scarsità dei documenti materiali e per la mancanza di oggettività della documentazione testuale.
Forse non si è riusciti a disegnare il ritratto della "donna mesopotamica", ma certamente si ritiene di avere messo in luce alcune donne di Mesopotamia, attive e partecipi della società del loro tempo, ancora, in qualche caso, di grande fascino evocativo per noi, che a loro ci avviciniamo con tante difficoltà e incertezze.