La monografia, che accompagna la grande personale di Goliardo Padova a Parma, comprende le opere di questo importante protagonista della pittura italiana dagli anni '30 ai '70 appartenenti alla donazione di Fiammetta Padova alla Fondazione Cariparma e quelle donate a suo tempo dagli eredi Padova (Nanda, Fiammetta e Florenzio) allo CSAC della Università di Parma, oltre a quelle di proprietà della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza; in tutto 80 dipinti e una selezione di circa 200 disegni delle collezioni dello CSAC.
Il grande inizio - quadro che potrebbe essere preso come chiave di lettura del volume e della mostra - è un dipinto del 1934, un dipinto chiarista, un dipinto con un soggetto inusuale per come si conosce Goliardo Padova: un fascista in nero leva un manganello con alla destra figure che lo contrastano e altre, alla sinistra, che stanno a guardare, in basso una figura con un berretto rosso è la chiave del dipinto, è Garibaldi, ripreso da Padova da un ritratto da sempre in casa, una casa di antichi socialisti. Il quadro, e questo è il divertente, ha girato per diverse mostre del 1934, dai Prelittoriali a Milano ai Littoriali a Roma, ed è sempre apparso come l'inizio della vittoria fascista ma il segno vero del dipinto è opposto, nel segno della ribellione degli italiani.
Padova chiarista, Padova che dialoga con i pittori torinesi e con Persico, che legge Lionello Venturi, che evoca gli impressionisti nei suoi dipinti degli anni Trenta. E poi Padova che punta alla riscoperta dell'espressionismo di Corrente, sempre a Milano, e che scopre la Scuola Romana; infine Padova che dipinge lo spessore della materia, che riprende dalla pittura espressionista di Die Brücke (Il Ponte, 1905), che sente la ricerca di Marc e Macke ma sopratutto quella di Kirchner e di Nolde, un Goliardo Padova insomma che dipinge proprio guardando alla pittura di quegli artisti che rappresentavano per Hitler "l'arte degenerata".
La lettura consueta della pittura di Padova nasce in fondo dalla poesia di Attilio Bertolucci e dalla scrittura di Francesco Arcangeli e di Roberto Tassi, e dunque Goliardo Padova narratore delle mitologie dalla bassa, pittore di un mondo dove la memoria delle forme evoca paesaggi e lanche d'acqua, forre e voli di uccelli acquatici o, se in collina, di gazze o corvi sospesi su una terra in dissoluzione, segnata di spessori, trafitta da colori pastosi e violenti. Come in un Soutine o come in un Morlotti molto più violento e teso. Contemplazione dunque, ma anche densità di una memoria e tensione politica, perché Padova, davvero, è stato, come a Milano i pittori di Corrente, un ribelle, un antagonista, un laico della pittura e ha voluto rappresentare la dimensione dell'angoscia, della ossessione, della tensione.