L'"Abecedario" pittorico di Pellegrino Antonio Orlandi (1753) segnala con lode Angelo Maria Crivelli, noto come il Crivellone: "pittore di scuderia Milanese, con il vero avanti gli occhi più dalla natura, che dall'arte fatto pittore, s'è dato a dipingere animali, con tanta eccellenza toccati, e finiti, che i primari pittori si provvedono di quelli per la compiacenza, che ne ritrovano. Vive in Patria, ove era pittore dell'Eccellenza del Signor Barone Martini". L'autore ne scrive come se l'artista fosse ancora vivo, riprendendo ad litteram quanto ne aveva scritto nella prima edizione del 1719, ma molto probabilmente l'artista doveva essere morto almeno da una ventina d'anni, probabilmente verso il 1730. Nel citato Abecedario non si trovano, invece, notizie del figlio Giovanni, che nel 1753 era ancora vivo e attivo e con clienti (basti pensare ai Savoia) più illustri del "Signor Barone Martini". Tra l'altro nel suo volume il prof. Arisi sottolinea come nell'Abecedario di lacune ce ne siano diverse. Non vi si trova, ad esempio, il nome del piacentino Felice Boselli, maestro nel genere della natura morta, coetaneo del Crivellone e attivo in ambiente contiguo, ben noto anche fuori del ducato farnesiano: il "Gran Principe" Ferdinando de Medici, ad esempio, poco dopo il 1710 aveva acquistato alcune sue nature morte e l'autoritratto, ancora nelle raccolte pubbliche fiorentine. Il bolognese Orlandi sa tutto degli artisti di casa (per quelli di fuori lo informa l'Oretti, che conosce bene l'ambiente romano, in particolare quello gravitante intorno all'Accademia di S. Luca) ma ignora alcuni di quelli attivi altrove, anche se legati per formazione a Bologna. Ignora, ad esempio, Giovanni Battista Tagliasacchi, fidentino, allievo a Bologna del Dal Sole, morto nel 1737, il più dotato pittore del Ducato, e invece indugia sui meriti del bolognese Francesco Antonio Piella (ben quaranta righe), prospettico e paesista che non lasciò traccia. I compilatori di repertori e di "storie" agiscono in cordata; sono legati l'uno all'altro, con diverse sviste in più di un caso. A Luigi Lanzi, ad esempio, si deve l'origine della confusione tra i due Crivelli, e proprio prendendo l'avvio della notizia fornita dall'Orlandi. Nella Storia pittorica dell'Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso la fine del XVIII secolo informa: "Orlandi celebra come meraviglioso in tal genere (animali), Angiolomaria Crivelli, di cui nulla vidi onde confermargli tanto elogio. Questi a Milano è chiamato Crivellone a differenza di Jacopo suo figliolo, il cui talento principale fu negli uccelli e ne' pesci: assai lavorò per la corte di Parma; ed è mancato di vita nel 60 di questo secolo". Fu il Lanzi che per primo chiamò Jacopo, invece di Giovanni, il figlio di Angelo Maria, probabilmente per la lettura errata di "Gio." con il puntino, firma di Giovanni, letto per "Gia". Lettura accettata anche nel noto studio di Giuseppe De Logu, del 1931, sui Pittori minori liguri, lombardi, piemontesi del Seicento e del Settecento. La rettifica del nome si deve all'Arisi nel libro sul Boselli del 1973. Si deve anche notare che l'attenzione degli storici dell'arte era quasi tutta dedicata ai pittori di "storie" sacre o profane. Anche la famosa mostra fiorentina del 1921 dedicata alla pittura barocca in fatto di natura morta incorse in errori macroscopici; ad esempio presentò come opera di Felice Boselli la Piccionaia Accorsi, firmata "Gio. Crivelli" non prestando fede alla firma. Di Crivellone e di Crivellino, in quella mostra, non si fece cenno; però l'aver riferito per esame stilistico al Boselli quel dipinto rivelava un legame vero tra i due artisti, legame messo in evidenza sempre da Arisi nel volume sul Boselli del 1973, anche se in assenza di documenti d'archivio. Con Parma il Crivellino ebbe a che fare quando lavorò accanto al Boselli nel decennio 1720-1730 ma non risulta che sia stato attivo per quella corte e che a Parma sia effettivamente morto. c.fr.