Il grande tema del ritratto come simulacro dell'identità, dell'essenza interiore, indagato attraverso una selezione di 100 opere dal Cinquecento ad oggi, di maestri antichi come Lorenzo Lotto, Tiziano, Bartolomeo Passerotti, El Greco, Guercino, Ferdinand Voet, Fra' Galgario, Giacomo Ceruti, Vincenzo Vela, e di artisti del Novecento e contemporanei, fra cui Adolfo Wildt, Giorgio de Chirico, Oscar Ghiglia, Fausto Pirandello, Antonio Ligabue, Andy Warhol, Arturo Nathan, Enrico Colombotto Rosso, Gianfranco Ferroni, Tullio Pericoli, Maurizio Bottoni, Alessandro Kokocinski, Aron Demetz e naturalmente Lucien Freud.
A queste opere si affiancano 13 dipinti e sculture conservati a Lodi o di artisti lodigiani: dal ritratto cinquecentesco di Lodovico Vistarini di Callisto Piazza, al celebre autoritratto a 48 anni di Francesco Hayez, opere queste, custodite al Museo civico del capoluogo. Uno sguardo significativo sulla pittura e la scultura lodigiana tra Otto e Novecento con artisti quali Giuseppe Novello, Ettore Archinti, Enrico Spelta, Gianni Vigorelli, Attilio Maiocchi, Angelo Monico, Mosè Bianchi da Mairago, Carlo Zaninelli, Giovanni Carnovali.
"Ritrarre" (re-trahere) significa "tirar fuori", ricavare con colori, marmo o altra materia, l'effige, il simulacro di un individuo. L'arte ha il potere di "simulare" cioè riprodurre e tenere vivi non solo la forma ma l'unicità interiore del soggetto ritratto, facendo affiorare il suo carattere, l'anima. Oltre l'aspetto fisico e i segni esteriori che ne indicano il ruolo sociale. Il "ritratto interiore" emerge grazie alla capacità dell'artista di far parlare - soprattutto attraverso lo sguardo - ansie, sussurri, cenni d'intesa, esitazioni, smorfie di dolore. L'immagine diventa allora così "verosimile" da rubare la vita ai viventi, da essere in grado di commuovere e durare più della realtà.
Il volume, catalogo dell'esposizione lodigiana ideata e curata da Vittorio Sgarbi, propone una galleria di ritratti diversi per epoca e genere, in posa o naturali, celebrativi, allegorici, evocativi, paurosi, avvincenti, struggenti, paralizzanti, rasserenanti. In tutti si riconoscono non personaggi ma uomini, presenti e fragili con le loro debolezze. Voci distinte eppur vicine nel tempo dell'arte, che interrogano la vita o si preparano alla morte.
Una teoria di figure intere, mezzi busti, corpi contorti o composti, ma soprattutto volti, la parte che subito attrae, nel ritratto come nella realtà, la curiosità e l'indagine di chi guarda. Nel volto, velo dell'anima, maschera e rifugio, è lo sguardo infine che apre la "porta del cuore", che consente il passaggio dall'esteriorità dell'esperienza all'intimità dell'essere.
Lo sguardo può "svelare" o suggellare per sempre.