Una lettura incrociata, finora mai tentata, delle quattro biografie dedicate a Salvator Rosa tra Sei e Settecento, e di queste con gli atti d'archivio disponibili, con alcune lettere del maestro e con quanto si ricava da altre utili fonti antiche getta una luce diversa sulla movimentata giovinezza dell'artista, spesa tra Napoli, Roma, Viterbo sino all'arrivo a Firenze. Una nuova interpretazione del corpus dei dipinti, databili tra il 1635 e il 1640 circa, chiarisce, poi, i legami di filiazione artistica con i fratelli Fracanzano, Jusepe de Ribera e Aniello Falcone.
Sullo sfondo della Napoli del grande cantiere della Certosa di San Martino, avanza solenne l'ombra di Salvatore, vero Convitato di Pietra dei locali cicli di pittura di paesaggio. Quadri inediti danno corpo all'immagine, tramandata dalle fonti, del giovane pittore giunto a Roma portando con sé vedute innovative di piccolo formato; disegni poco noti o mai visti spiegano il rapporto con l'altro maestro di 'paesi' napoletani Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro.
Come nella produzione letteraria, Rosa si rivela personalità prensile, capace di rielaborare, con eccezionale rapidità e ingegno, i modi pittorici altrui, anticipando Luca Giordano nella prova di raffinati esercizi di stile espressamente concepiti alla maniera dei suoi rivali, col chiaro intento di ostentare una pari maestria