Nell'ottobre 1506, commentando la notizia della morte di Mantegna, Lorenzo da Pavia scriveva a Isabella d'Este, marchesa di Mantova, "uno eccelentisimo omo e uno altro Apele io per me non spero maie vedere el pù belo desegnatore e inventore". Già i contemporanei dunque celebravano l'artista come disegnatore finissimo di geniali progetti compositivi, uno dei maestri più grandi del Rinascimento.
La formazione "moderna" del Mantegna, nella cerchia degli amici umanisti e "antiquari" padovani, è evidente fin dalle opere giovanili, dalla decorazione della cappella Ovetari agli Eremitani di Padova, alla pala per l'altare maggiore della basilica di San Zeno a Verona. Il pittore si trasferisce poi in Lombardia, dove, alla corte di Mantova, scandisce il "buon governo" di tre generazioni di Gonzaga, Ludovico II, Federico e Francesco IV attraverso capolavori come la decorazione della "camera picta" nel castello di San Giorgio o la serie del Trionfo di Giulio Cesare in Gallia. La produzione dell'artista prosegue poi con capolavori quali i dipinti allegorici per lo "studiolo" di Isabella d'Este e per il "camerino" veneziano di Francesco Corner fino al Battesimo di Cristo, eseguito per la propria cappella funeraria in Sant'Andrea a Mantova.
La lunga vicenda artistica di Mantegna, fra Padova e Mantova, viene ripercorsa dall'autrice in un saggio ampiamente documentato e illustrato, che comprende il catalogo delle opere, dei disegni e delle incisioni dell'artista.