Sempre di più, e oggi addirittura con urgenza, l'architettura va intesa come cultura interdisciplinare che si occupa dell'organizzazione dello spazio di vita, perché al di fuori di essa prendono inevitabilmente il sopravvento i singoli saperi settoriali, siano essi tecnici, ingegneristici, scientifici, organizzativi e persino estetici. E se si lascia che la logica della spartizione delle competenze abbia la meglio, questi saperi si trasformeranno da indispensabili contributi in precetti che riducono il progetto a un collage di soluzioni, con risultati d'insieme sconfortanti. Per evitare che l'architettura finisca relegata a un destino di servizio tecnico o di intrattenimento estetico, si rende necessario un continuo ripensamento del processo progettuale che conduca a rafforzare la figura di un operatore "totale". A sostegno di questa resistenza culturale alla specializzazione non sarà inutile richiamare le antiche idee vitruviane, riprese poi da grandi umanisti quali Leon Battista Alberti, secondo cui l'architetto aveva da essere non solo un eccellente disegnatore ed erudito di geometria, ottica e aritmetica, ma anche un letterato conoscitore della storia, della filosofía e della musica, nonché di nozioni di giurisprudenza e medicina
Poiché però non dobbiamo indugiare in nostalgie per epoche lontane solo perché presentavano un tasso inferiore di divisione del lavoro, occorrerà inventare ora altri modi per affrontare la complessità data e dotare l'architettura di un sapere compositivo "generali ta" adatto ai nostri tempi.