Nel China Millennium Monument World Art Museum di Pechino, le pareti della grande sala circolare del piano interrato ospitano un imponente bassorilievo che celebra la storia della Cina dalla preistoria ai giorni nostri. Vi sono raffigurati i più potenti imperatori, le guide spirituali e i geni culturali, gli scienziati, i condottieri, i politici, insomma le figure più importanti che hanno contribuito a dare un volto e una identità alla Cina nel corso di decine di secoli. Tra quelle centinaia di figure, ci sono solo due forestieri: gli italiani Marco Polo e Matteo Ricci. Stando lì davanti, ho percepito anche con gli occhi che quel veneziano e quel maceratese non sono degli estranei, non rubano lo spazio di altri: sono essi stessi parte della Cina.
Da questo dato storico possiamo trarre innanzitutto due considerazioni. La prima è che nessun popolo, come nessun uomo, vive da solo. Sul suo cammino incontra sempre altri, magari anche tanti altri più o meno indifferenti, ma nell'esperienza dell'altro può accadere di incontrare qualcosa che ti aiuta ad essere quello che sei, iniziando un cammino comune che neanche immaginavi, senza per questo perdere nulla di quello che sei e ti rende diverso da un altro. Da questo punto di vista, nessuno è realmente lontano dall'altro, nessuna esperienza è a priori estranea all'altro. Come si trasmette tutto ciò? Con la cultura, sia essa la pittura o la letteratura, la scultura o la musica, il teatro come la danza. E, nel nostro tempo, anche utilizzando strumenti nuovi come il cinema, la fotografia, i video.
Per noi europei il cinema cinese è un mondo finora poco esplorato, di cui però abbiamo potuto ugualmente intuirne le grandi possibilità espressive e culturali attraverso le significative, anche se purtroppo ancora rare, opere giunte da noi, ad esempio quelle di Yimou fattosi conoscere soprattutto grazie ai festival cinematografici europei.
La mostra del Vittoriano si sviluppa attraverso un supporto che il cinema ha sempre accompagnato, quello dei manifesti. Questa raccolta, intanto, rappresenta un anello di congiunzione suggestivo più che con le pellicole con il mondo concreto dello spettatore cinese, con il linguaggio con cui gli sono state proposte le opere, con la sensibilità immaginifica che si andava a sollecitare. Per certi versi, guardandoli ci avvicina alla gente, destinataria come noi di un messaggio, ci mette dalla sua stessa parte, spingendoci per un'altra via a non perdere l'occasione, quando capiterà, di andare a vedere una proiezione cinese. Tutto lascia credere che non ci sarà molto da aspettare, le occasioni verosimilmente non mancheranno. E non bisognerà farle mancare. Significativo, al riguardo, che la 62ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica al Lido di Venezia venga aperta da Tsui Hark (nato in Vietnam e formatosi anche negli Stati Uniti, ma profondamente attaccato alla cultura cinese: un segno dei tempi anche questo), autore di Qi Jian, tratto dalla letteratura popolare cinese contemporanea.
Per concludere con la metafora del cammino, prendo a prestito da un grande autore una frase che, a partire dalla Mostra sui Cento Anni del Cinema Cinese, è uno sprone a non disperdere nel dialogo con la Cina le opportunità di arrivare alla pace e al comune riconoscimento della centralità dell'uomo attraverso le vie della cultura: "Non vi auguro di viaggiare comodi, ma di andare lontano".